Ho deciso che non andrò più a funghi! La mia grande passione fin da bambino aveva subito un duro colpo qualche anno fa durante un viaggio in Finlandia. Trovavamo funghi enormi e sanissimi facendo un giretto sul sentiero dietro casa in ciabatte alle 9 di sera. Nella foto vedete Elena su che cosa era riuscita a “inciampare”
Capirete che, per chi come il sottoscritto era abituato a levatacce, camminate per ore in penombra, ricerca su pendii al limite del ribaltamento, è stato un duro colpo. L’anno dopo, tornato alle tradizionali ricerche nei boschi di casa, mi sono sentito fuori posto.
Ho avuto due boschi “storici” che hanno contraddistinto la mia passione: quello della prima adolescenza e quello della giovinezza. Il primo, anni fa se l’era portato via il fuoco, il secondo se l’è portato via l’uomo … per fare lega da ardere.
La storia che vi racconto oggi riguarda il primo bosco, facile da raggiungere, ci andavo con gli amici dell’oratorio, chi in bicicletta, chi col motorino della mamma senza neppure avere l’età. Quelli che erano “motorizzati” tiravano gli altri in bicicletta a turno, li trascinavano aggrappati al loro braccio destro per alcune centinaia di metri, poi si staccavano e tornavano a prendere gli altri.
Non eravamo gruppi numerosi c’eravamo io e Giovanni sempre, poi, di tanto in tanto Cesare, Roberto e qualche altro. I nomi non mi dicono niente ma i soprannomi non li posso citare perchè, per chi li ha conosciuti sarebbe come pubblicare la loro carta d’identità.
Sono tornato qualche giorno fa nel bosco della mia adolescenza, Rossana mi aveva detto che un’amica di una sua collega aveva trovato funghi in basso, casualmente, dietro casa in un cespuglio di castagno. Allora ho provato a tornarci, perchè il bosco di ceppaia è uno di quelli tenaci, che ricrescono qualche anno dopo il fuoco.
Il sentiero era quasi sparito, il bosco molto diverso da come me lo ricordavo, mancava il boschetto dei “alberella” (pioppo selvatico) che ci accoglieva festoso con le sue buttate di “rossini” (boletus rufus) e ci faceva capire quando sarebbe stata una buona giornata anche per i funghi di maggior pregio. I castagni erano “ringiovaniti” attorno allo scheletro del patriarca consumato in piedi dal fuoco erano spuntati numerosi giovani polloni.
Sono salito fino all’alpeggio aprendomi il passaggio a fatica in mezzo alla selva bassa e intricata dei giovani virgulti senza trovare nulla. Allora ho deciso di cambiare i miei piani dedicandomi alle castagne, non lo avrei mai fatto in gioventù, mi sarei incaponito per ore con l’obiettivo dei funghi tornando a casa con la vittoria in tasca o con la frustrazione dentro.
Il prato attorno all’alpeggio era stato invaso dalla felce aquilina, i rovi avevano iniziato ad attaccare le baite, ma i vecchi castagni innestati, piantati a cornice del grande prato avevano resistito all’ingiuria del fuoco ed erano lì a regalarmi i loro luccicanti frutti. Avevo messo una pezza alla giornata.
Mentre ero sulla via del ritorno mi è venuto in mente questo ricordo lontanissimo. In questo posto, dall’altra parte del tagliafuoco c’era un altro bosco, recintato. Si trattava di uno di quei rimboschimenti fatti dalla Forestale negli anni sessanta usando, chissà perché, piantine di abeti americani. Era un posto dove non cresceva nessun fungo ma noi non lo sapevamo. Il sottobosco era bellissimo perchè passavano gli operai a fare manutenzione. Un giorno che avevamo trovato poco o nulla decidiamo di oltrepassare il filo spinato e di entrare nel “bosco proibito”. Funghi niente ma, ben occultati in un anfratto delle rocce, un raccolta di “Caballero“, “Men”, “Le ore” e altri titoli letterari che ora non ricordo. Una miniera d’oro per quella “bomba di ormoni” che eravamo all’epoca! Da quella volta, ci siamo fermati spesso per un sosta letteraria nel “bosco proibito”, sempre rimettendo tutto a posto per non rovinare la “pausa pranzo” agli operai.
P.S. Il tempo di un post e ho cambiato idea, non andrò più a funghi da solo. Mi piace la magica intimità che si crea quelle volte che ci vado con mia figlia Alice, cercare i funghi diventa un alibi per chiacchierare un po’, uno spazio che ritagliamo per noi nella quotidianità incalzante della vita di tutti i giorni.
Commenti recenti